Il mio nome è Carmela ed abito attualmente in provincia di Varese. Sono andata via da Palomonte quando avevo 19 anni, adesso ne ho quasi 60, ma il mio piccolo paese mi è rimasto nel cuore. Mi è stato chiesto di raccontare la mia storia ed io non posso iniziare che dalla mia famiglia e dai ricordi che mi legano alla mia infanzia. La nostra era una famiglia numerosa composta da sei figli. Quando mio madre e mio padre andavano a lavoro noi trascorrevamo le nostro giornate insieme. Da piccoli capitava che andassimo da nonna, spesso a guardare la tv che noi non avevamo e, qualche volta, ci recavamo al mercato che si teneva in paese. Io che ero la più grande delle figlie, mi sono un po’ presa cura di tutti. In realtà ci siamo sempre dati una mano insieme, nel senso che già da piccoli ognuno di noi faceva qualcosa per gli altri in base alle proprie possibilità, qualche volta anche cose che oggi normalmente un genitore non farebbe fare ad un bambino, ma prima era così: si era un po’grandi anche da piccoli. Sono andata via perché Palomonte non offriva un lavoro, quindi un futuro. Insieme a me altri giovani e padri di famiglia sono stati costretti ad emigrare in cerca di una vita migliore per sé o per i propri figli. Ricordo l’entusiasmo di quando sono partita. Sapevo di allontanarmi da un piccolo paese diretta verso una grande città, Milano, confidando di poter realizzare i miei sogni. L’iniziale contentezza, dopo un po’, si è trasformata in nostalgia: mi mancavano le abitudini quotidiane, le usanze tipiche, la gente. La nostalgia riaffiorava soprattutto a Natale, quando pensavo a  Palomonte che in questo periodo si trasformava in un piccolo presepe. Gli zampognari con i loro suoni creavano un’atmosfera magica di pace. Penso all’albero di Natale che facevamo, a mia mamma e alle mie zie che davanti al camino friggevano zeppole e panzerotti da mettere in tavola il giorno dopo. Scrivo del Natale perché questo giorno, per me, è sempre stato il giorno della famiglia, da trascorrere con chi si vuole bene. Ricordo il pranzo con i parenti e con gli amici e la giornata non si concludeva mai senza l’immancabile tombolata a tarda sera. Non ho mai dimenticato i profumi, i colori e l’aria di Palomonte. Al tempo non c’era un vero e proprio punto di incontro, allora noi ragazzi molte ore della giornata le passavamo sul piazzale della lamia a giocare a nascondino o rubabandiera. Purtroppo anche queste piccole abitudini si sono interrotte il 23 Novembre del 1980, quando una forte scossa di terremoto ha distrutto Palomonte provocando la morte di tre persone, tra cui mio fratello Giuseppe, per tutti Peppino, che all’epoca aveva solo 17 anni. È stato uno dei più grandi dolori che io abbia mai provato e che ancora oggi non si affievolisce, forse perché il ricordo è legato all’orrore del terremoto. Il paese a distanza di 37 anni non è stato ricostruito. Mi sarei aspettata un impegno maggiore da parte delle amministrazioni che si sono succedute. La politica dovrebbe fare il bene di tutti, dunque, per estensione, il bene del paese. Mi viene da pensare che politica non sia mai stata fatta allora. Sono arrabbiata per questo perché ciò che sono stata costretta a fare, ovvero andare via, è lo stesso destino a cui saranno sottoposti tanti giovani. A loro, con l’intelligenza e l’ambizione che contraddistingue ogni giovane, chiedo di avere la forza di cambiare le cose che non vanno e di fare il possibile per migliorare un paese che è il loro paese. Li prego di sopperire alle mancanze della politica senza mai tirarsi indietro ma anche agli errori compiuti da tutti i palomontesi in passato, il cui peccato maggiore è stata l’inerzia e la scarsa consapevolezza, che ha alimentato, perché lo ha consentito, il degrado del paese. Auguro a tutti, giovani e non giovani, di realizzare ciascuno i propri sogni senza dover fuggire dalla propria terra. Io tornerò a Palomonte ogni volta che potrò, così come sono sicura faranno i tanti palomontesi sparsi per il mondo, ne sono certa. Torno, anzi ritorno, per la mia famiglia e per le radici che, durante gli anni di lontananza, non si sono mai sradicate.

A cura di Giuseppe Caputo

 

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