Sono andata via da Palomonte sin dall’inizio degli studi all’università Federico II di Napoli. Subito dopo la laurea in ingegneria aeronautica, ho trovato impiego a Foggia e successivamente a Pomigliano, dove ho stretto i legami con un’azienda che mi ha dato la possibilità di lavorare per un periodo negli Stati Uniti e poi in Canada.Dopo qualche anno mi si presenta un’occasione lavorativa importante in Belgio. Decido, pertanto, di trasferirmi a Bruxelles all’età di 34 anni, dove mi occupo ancora oggi di progettazione aeronautica, ovvero di calcolo strutturale su parti del velivolo. Tanto sul versante economico, quanto su quello delle prospettive future, lavorare in Italia era poco conveniente. Gli stessi ingegneri con cui lavoravo mi consigliarono di spostarmi all’estero, dove avrei potuto ampliare le mie conoscenze e al tempo stesso trovare maggiori gratificazioni, quegli elementi che permettono di ampliare le prospettive future senza rinunciare ad avere nell’immediato una qualità di vita decorosa. Il mio sogno, inoltre, era quello di “andare fuori” e sperimentare uno stile di vita diverso da quello di un piccolo paesino di provincia. Ci sono riuscita. Mi sono adattata bene alla vita di città e vivo bene la mia permanenza a Bruxelles, città non particolarmente caotica. Mi è sempre piaciuto lo sport, che avrei praticato fin da piccola se il mio paese mi avesse offerto questa possibilità. Forse, avrei anche fatto altro nella vita se avessi avuto la possibilità di praticare sport nel mio paese di origine. Trovo spiacevole, per certi versi drammatico, il fatto che un bambino non possa sviluppare il suo talento perché mancano le strutture idonee. Manca l’ordine, la cura del verde pubblico e riconosco il limite del retaggio culturale tipico del luogo per cui neanche un privato ha cura di ciò che ha. Viaggio a due velocità: quando sto in Belgio il tempo fugge, lo stile di vita è diverso (ci sono più comfort) e l’ordine fa da padrone; quando ritorno in Italia a Palomonte, il tempo rallenta, lo stile di vita cambia, anche se per poco, e conosco una sorta di “piacevole disordine”. Abbiamo delle ricchezze che spesso non sappiamo valorizzare, per esempio il vino, l’olio o i prodotti alimentari locali, eccellenze del territorio. Questo è ciò che un piccolo paese di provincia può offrire e su questo occorre puntare: lo stile di vita tranquillo e il buon cibo. Palomonte è stato un po’ sfortunato per la conformazione territoriale che ha assunto nel tempo, la quale ha creato divisione fra le frazioni: si ragiona per strade e per contrade. Ciò che non sopporto è che io venga considerata, a volte, come una straniera per il fatto di non abitare più stabilmente a Palomonte. Se cambiasse questo cattivo modo di pensare e si accettassero consigli da chi ha maturato esperienza all’estero, io mi sentirei più a casa e il paese ne trarrebbe giovamento. Un’altra importante risorsa è il paesaggio che, se valorizzato, potrebbe creare posti di lavoro ed evitare almeno l’abbandono massiccio dei giovani: è giusto che un giovane faccia un’esperienza all’estero o lontano dal proprio paese, ma sarebbe bello che tutti conservassero le proprie radici. Ci vuole coraggio per partire, ma ancora di più, serve coraggio per non dimenticarsi della propria patria. Adesso, a distanza di circa 6 anni da quando mi sono trasferita in Belgio, ritorno a Palomonte 3 o 4 volte all’anno. Ritorno per la famiglia, ma sono anche molto attaccata alla mia terra. Ammetto che, se potessi conservare il mio lavoro, mi farebbe piacere ritornare dove conservo tutti i ricordi del mio passato. Non mi sono mai sentita veramente a casa a Bruxelles per tutto ciò che mi lega a Palomonte. Mentirei se dicessi che non è vero che mi sento a casa solo quando sto qui.

A cura di Giuseppe Caputo

 

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